Riccardo Grassi, Antropologia immobiliare

12-12-2015

Comprare casa? È ritrovare un luogo, alla maniera di Proust, di Roberta Scorranese

E se vi dicessero che, quando comprate una casa in realtà non state precisamente acquistando un’abitazione, bensì un luogo ? E che quel luogo lo avete già abitato, in qualche modo, non necessariamente con il corpo ma con una sorta di memoria ancestrale che vi portate dentro? Cose che avvengono regolarmente in certi romanzi, dove dal luogo scaturisce il carattere (e dunque il destino) di qualcuno. Ma stavolta a parlare così non è un romanziere.

È un economista specializzato in tecniche di marketing che si chiama Riccardo E. Grassi e che, per Manni, ha scritto Antropologia immobiliare, un interessante librino che scandaglia le dinamiche (complesse) che ci spingono ad acquistare questa piuttosto che quella casa. E i risultati sono bizzarri. Se infatti, ragionevolmente, si ritiene che la maggior parte delle persone individui la casa adatta (per costo, dimensioni, architettura o vicinanza ai servizi pubblico) e poi la «insegua» sul territorio, adattandosi alle varie zone, pare che nella realtà spesso le cose vadano diversamente.

Quello che più incide (oltre naturalmente a molte altre variabili) è, a detta di Grassi, il fattore «L»: il luogo. «Le persone si interessavano agli appartamenti in vendita — annota lo studioso — purché la porzione immobiliare che intendevano abitare fosse nel luogo che avevano in mente. E non parliamo di un luogo a caso, vagheggiato o conosciuto per sentito dire». No, un luogo in parte conosciuto, anche per vie indirette (spesso nella prima parte della vita). E si comprende allora il senso sottile di tutto questo: torniamo a impossessarci di nuovo di quello che abbiamo vissuto. «Anche il prezzo — precisa Grassi — può passare in secondo piano, rispetto a questa esigenza di tornare a riappropriarci di un luogo». Poco alla volta emerge un messaggio tanto profondo quanto (questo sì) letterario: anche nell’acquisto più razionale della nostra vita, quello che determinerà le nostre condizioni economiche per anni a venire, ci affidiamo non a un calcolo accorto e previdente del nostro futuro, ma alla cosa che meglio conosciamo: il passato. Un passato proustiano , denso non di banali ricordi, ma di cose reali, mai sparite: basta il sapore di un pasticcino a farle rivivere — in modo paurosamente concreto.

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