Gilberto Isella, Taglio di mondo

04-02-2008

Riscrivendo il mondo dentro scenari inediti, di Raffealla Castagnola 

Taglio di mondo di Gilberto Isella sembra voler chiudere il cerchio della ricerca del poeta luganese sul tema della rappresentazione del modo del caos. Il discorso poetico rinvia infatti in più luoghi al libro d’esordio, a quelle Vigilie incustodite che rivelavano barlumi di conoscenza, reliquie di sapere appena intraviste nella tenebra dell’universo.
Ma qui, abbandonate le avventure cosmologiche, Isella si concentra, almeno in parte, sul microcosmo urbano e sulle sue rovine. Del mondo, impossibile da descrivere nella sua complessità, restano solo piccoli squarci della realtà metropolitana.
Di qui il titolo che idealmente si collega ad un’altra opera precedente, a Nominare il caos, come una sorta di continuazione. Ed è ideale continuazione anche l’impresa, impossibile, di addentrarsi nei fondali preistorici della vita, con l’intento o la speranza di sviscerarne il senso, perché è operazione effimera.
Tornano allora figure primordiali di una vita lontana e perduta, che tuttavia ci restituiscono il presente, consentendo di «risalire alla vernice / delle cose vere / e che hanno denti naturali / per afferrarmi e sbranarmi» (da Spezzatura di una iridescenza): sono il baco portasguardi, la scolopendra, il millepiedi umile che sembrano primogenitura dell’uomo o proiezione dello scrivente («scolopendra, la tua vita che vale la lunghezza / della mia»), la vespa, che col suo pungiglione esplicita la violenza della natura, le pulsioni della nuova stagione; mentre la mummia allude per contrasto a un paesaggio defunto.
Ma in Taglio di mondo tornano anche i tentativi di documentare il caos, di schedarlo in un’immaginaria teca (come già in un volume precedente, significativamente intitolato Apoteca): qui i «giochi interdetti» sono quelli che conducono a descrivere dissolvenze e aggregazioni, a tentare ««esercizi di orientamento» (così si intitola una lirica), ad azzardare classificazioni e a creare nuovi archivi. Il caos non è però più quello della realtà urbana, che restituisce solo immagini inquietanti di rovina.
Nella poesia eponima vediamo un falò bianco, sul quale vanno a finire immagini barcollanti, che simboleggiano il monumento del nostro io: «Così dal tanto pendere / scivola quel falò bianco / sulla scala a chiocciola, / mai spenta piramide di noi / che fin lassù si proietta, / lastra di cielo o panno / fulminato dentro il vetro / nervino / dell’immagine, / ma già il pensiero / vira le carovane dei vestiti / oltre gli armadi di lattigine / e c’è una gronda, / l’indolente cornice / in qualche ava radura della mente / da dove smonta una rovina chiara / che batte al colmo della sala / tra penombre / e non è che un dettaglio / un taglio di mondo».
Taglio di mondo ha in copertina un’opera del pittore ticinese Renzo Ferrari, che con Isella ha collaborato, unitamente all’amico Dario Ghisletta, a Wild contact, libro-testimonianza di tre amici che cercano chiarezze a New York e che «vi trovano nuove oscurità».
Anche qui Isella si addentra nelle scorie metropolitane e piega il suo linguaggio alle metafore odierne: troveremo allora la «gallina di plexiglas», «l’apnea delle vetrine», un «puzzle di rifiuti» che apparentemente ci introducono in un mondo reale, ma che in realtà portano «al punto geometrico di non ritorno».