Daniele Maria Pegorari, Dal basso verso l'alto

14-04-2007

A Sud, ma sembra quasi l'altro secolo, di Sergio D'Amaro

L’opera di Lino Angiuli, la sua storia non è la semplice storia di un qualunque poeta e scrittore operane al Sud. Sulla sua strada vediamo i molti passi di chi ha scelto con la letteratura un’attestazione di presenza, di impegno, di utopia. Si accorciano le distanze geografiche, le province pugliesi si raccolgono più pronte ad una chiamata di destini paralleli o intrecciati, la memoria si snoda ricca e complice lungo molti anni attraversati.
La strada di Angiuli è stata quella di molti altri compagni di generazione. In Angiuli, semmai, c’è stato un di più di reattività immaginativa e metamorfica, riuscendo egli a mantenere costantemente in fermento l’ascolto sulle trasformazioni in atto e alta la vigilanza su una dialettica persistenza del passato. In questo lo ha soccorso una intensa verve ironica e un fermo senso religioso della natura, nonché una coscienza febbrile della lingua. Vi è stato lo sforzo di capire e interpretare se stesso alla luce di una realtà estremamente dinamica, continuamente sottratta ai faticosi logos di storici e sociologi.
A controcanto – e lo attestano i saggi illuminanti di Gualtiero De Santi, Gigliola De Donato, Daniele Maria Pegorari, Ettore Catalano, Pietro Sisto ed Esther Celiberti, riprodotti nel libro Dal Basso verso l’alto. Studi sull’opera di Lino Angiuli – corrono gli anni più esaltanti e più duri del dopoguerra, quelli delle ideologie e dei nuovi egoismi, quelli degli appelli disperati alla civiltà e dello sprofondamento, invece, in una ritornata barbarie.
Come Angiuli alcuni degli intellettuali e degli scrittori nel Sud hanno affrontato il problema del superamento del meridionalismo: lo hanno fatto con le riviste, con le collane editoriali, con la ricerca sul campo di un legame tra Italia ed Europa, con la scoperta di tracce e di voci che risarcivano il silenzio tra le generazioni e rinsanguavano il dialogo tra primi ed ultimi. In fondo, come Angiuli, sono rimasti a risolvere il modello di pensiero, incentrato sul dilemma (o ossimoro o tentante endiadi) La parola l’ulivo (come suonava il titolo del fortunato libro dell’autore nel lontano 1975), smettendola (pochi per la verità) con i rimpianti e le nostalgie e facendo entrare aria pulita di passato nel motore affaticato del presente, allargando i sud e i nord, gli est e gli ovest ad una circolazione incrociata di culture e di climi.
Non a caso le riviste animate da Angiuli (e da altri complici compagni di strada, in primis Raffaele Nigro) si sono intitolate via via “Fragile”, “In oltre”, “Incroci” (quest’ultima tuttora ben viva), aprendosi a scenari sempre più apparentemente incomprensibili, ma proprio per questo bisognosi di accoglienza e di flessibilità mentale.
Oggi Angiuli scrive una poesia ormai bilingue, bilanciata tra italiano e dialetto, porosa e osmotica. Questo perché esistono più zone maggiori o minori di letteratura, lingue subalterne (come si diceva una volta) o tagliate e lingue egemoni. Il sud, il dialetto, i contadini, l’emigrazione si sono proiettati in una lente trasfigurata e si sono mondializzati, sono diventati nuovi attori di una geografia globale, legata sempre più fortemente ai terzi e ai quarti mondi di chi invoca ancora la liberazione dagli antichi vincoli dell’ingiustizia. Scrivere poesia per Angiuli ha significato attraversare in modo vigile e costruttivo l’evoluzione dei tempi, Dal basso verso l’alto (come recita questo libro riassuntivo per i sessant’anni dell’autore e i quarant’anni della sua produzione), dalla parte delle radici e coprendo la distanza che separa la vanga dal computer.