Melanconia animale

Melanconia animale

copertina
anno
2008
Collana
Categoria
pagine
112
isbn
978-88-6266-013-6
9,50 €
Titolo
Melanconia animale
Prezzo
10,00 €
ISBN
978-88-6266-013-6
nota
Postfazione di Cristina Annino
Ritroviamo intatta quella freschezza del suo tono narrativo che a volte dà l’impressione di non averle neppure raccontate lei quelle cose, quasi ironicamente rifiutasse l’importanza della loro comparsa sulla pagina. Ritroviamo tutta l’agilità di una lingua volutamente semplice, coltamente semplice, e forte, per assemblaggi lessicali, dove la forza viene appoggiata su vocaboli di vistosità zero. Abilità che solo un più che notevole addestramento linguistico può realizzare.
Ironica quasi sempre, più su del contesto in cui si trova, ma con intelligente semplicità; le sue valutazioni sottese sono stimolanti; è come se avesse le varie parti della terra, in una mano, e nell’altra gli organi dell’udito e della vista ridotti a lente di ingrandimento.
Cristina Annino
 
 
INCIPIT
Attraversamenti e deserti di gelo
 

Chiamare questo male per nome non basta. Il nome è importante. Serve a ricordarti, che mentre sei nel colmo della crisi e boccheggi nel vuoto senza confini e privo di aria, sei in una condizione riconoscibile. Tu credi di non riuscire ad avanzare nello spazio. Lo spazio ti appare infinito e vuoto.
In realtà quello spazio solo a te sembra vuoto e infinito, ci sono dappertutto segnali che indicano direzioni diverse, basta sapere dove andare. Dovunque cartelli con scritte colorate ti indicano e t’invitano verso obbiettivi presto raggiungibili. Guarda bene, non lasciare che anche la vista si appanni, devi ripeterlo per tutto il tempo dell’attraversamento. Forse sulla strada, non troppo distante da te, qualcun altro sta soffrendo la tua stessa agonia. La soluzione, lo sai, non può essere quella di restare nel tuo appartamento né quella di camminare, quanto più possibile rasente ai muri, quando sei all’esterno. Anche se poi, tendenzialmente, ti comporti proprio così. Sei perfino solita attraversare quasi accosto alle macchine, perché la paura di essere investita è nulla – sai che è reale – mentre la paura del vuoto, dell’assenza di ostacoli è invincibile, fondata sulla sensazione e sul ricordo di un tempo e di uno spazio senza confini, dove è impossibile cercare cartelli o semafori, visualizzare le targhe con i nomi di piazze e di strade.
Sono a Parigi. Sto attraversando Boulevard St. Marcel e mi ripeto, che, nonostante il mio grave disagio abbia un nome pochi certamente ne soffrono, un’esigua disperata minoranza deve patirlo per tutta la vita, altrimenti le metropoli non sarebbero costruite così: ampi viali, piazze, snodi, scale mobili, tapis roulants.
Mi rivolgo a quella che, dentro di me, è convinta di morire, le dico: “Lo sai! Non morirai, non qui. Non darai questo scandalo! Spazi immensi, del resto, qui non ci sono, non mancano certo i segnali e i punti di riferimento. Ecco, vedi, si accende il semaforo. Il duro selciato definisce in modo chiaro la strada. La strada non si confonde e tu ne seguirai il tragitto, segnato da altri. Ti fiderai di questi altri, anche se di te non ti fidi.”
Ma intanto mi sento impallidire, le gambe non fanno presa alla terra. Ogni volta che sollevo il piede, qualcosa sembra trattenerlo, mi pare che affondi, un vento potrebbe alzare un velo di polvere che renderà impossibile l’orientamento.
La folla intorno cammina, si affretta, qualcuno sfreccia sullo skate-board. Un giovane spinge davanti a sé un passeggino, allungando sui pattini le gambe, l’iPod all’orecchio. Vorrei catturare di lui qualche altro dettaglio, ma vola via, ed è subito scomparso.
Quel nome, agorafobia, non dice la paura di morire di solitudine, in mezzo alla folla. Vertigini dice di più. Sono avvitata, risucchiata nel terreno, mi disintegro dentro questo suo-lo senza forma, ridotta in granuli tra i granuli: cuore, gola, orecchi, le due chiostre dei denti, le gambe, i piedi, le braccia e ogni parte del mio corpo ridotta in sabbia incolore, sparsa su questo tapis roulant che nella stazione di Châtelet mi porta (ma quando avrà fine?) dal Metro alla RER, che mi condurrà all’aeroporto. Che faccia devo avere se un ragazzo, che mi sta superando, si ferma e vorrebbe aiutarmi a portare il bagaglio. Ringrazio, no, sono viva e faccio da sola. Da sola? Sono io che scelgo di fare da sola? Questo passaggio tra le due linee metropolitane è un attraversamento infinito e io, lo so, sto morendo. Eppure, sebbene io sia tutta concentrata nel non lasciarmi afferrare dal deserto e dal vuoto, riesco ancora a vedere gli altri. Nei loro vestiti sgargianti distinguo giovani donne africane, con i figli legati sulla schiena, una piccola naturale protuberanza, le gambine allargate e schiacciate ai fianchi del-la madre.
No, non muoio. È solo un attacco di agorafobia.