Giovanni Catelli, Treni

01-01-2009
I toni del rimpianto e del dolore, di Gian Paolo Grattarola

Nelle vincite parziali del tramonto, che recano il soffio inerme dell’avanzata di treni ormai deragliati e l’amaro risvolto di una ragione priva di un ritorno. Nell’armistizio serale, in cui s’allungano inesorabili le ombre malinconiche di una ragione, che si è ormai spenta nell’adesione passiva al pallido cadere del presente. Nel confine tra fredde manovre di luci e bagliori opachi di una solitudine esistenziale scandita da aliti ferrosi di treni e l’arcano chiarore dell’alba. Nei bianchi spazi di assordante silenzio, che solo la luminosa scansione della poesia riesce a fendere. Ovunque, i toni meditati del rimpianto e del dolore, dell’amarezza e del disincanto, si adunano nella voce del poeta, facendosi luce a stento tra i versi, trascolorando nell’epifania di luoghi in cui sia ancora possibile ritrovare lacerti di memoria, qualcosa che parli della propria storia. Straniamento allegorico della vita nell’unica luce possibile, quella della metafora…  
Giovanni Catelli, classe 1965, dopo aver vissuto tra Senigallia e Crema, risiede ora a Praga. In questa sua ultima raccolta poetica - pubblicata da Manni nella collana Pretesti curata da Anna Grazia D’oria - si rivela poeta dotato di uno stile elaborato e inconfondibile. Si tratta di poco meno di sessanta componimenti, in cui la potenza immaginativa e la concretezza espressiva della materia verbale ci vengono offerti in un flusso ritmico, che rivela l’esigenza di un senso comunicabile. Il lettore si troverà al cospetto di un articolato reticolo della sintassi che non presenta l’intoppo di una sola interruzione, poiché le poesie si rivelano prive di punteggiatura. Non si pensi, tuttavia, ad una poesia di tipo sperimentale o avanguardistico. Nei versi si coglie piuttosto un profondo quid poetico, pur camuffato talvolta all’interno di una apparente narrativa versificata, che si dirama in simboli e metafore dinanzi alle quali non ci si può esimere dal fermarsi a meditare. Perché la concretezza verbale del linguaggio poetico di Giovanni Catelli si lega mirabilmente con una capacità evocativa che riesce a gettare luce sul piccolo delle cose, aprendo uno squarcio di riflessione sullo scarto tra reale e ideale. Il processo di lettura che ne risulta è inevitabilmente duplice; ma tale da stimolare la ricerca dl una forma autentica ricchezza, per ora nascosta tanto nei dettagli delle piccole cose, quanto nel rapporto con il mondo.